Quale liceo classico? Un dibattito carducciano

Cari Carducciani, sovente ripercorriamo il passato, è naturale: si parla della nostra giovinezza, lieta o mesta. Vi mando un articolo del Corriere per parlare del pesente o del futuro del Carducci.
Spero vi susciti causa di discussione.

https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/23_gennaio_08/milano-al-liceo-carducci-esami-di-riparazione-anticipati-e-niente-mezzi-voti-c3cd9108-8ebb-11ed-ae40-41a711fcbe95.shtml

Un saluto a voi tutti.
Stefano Fumagalli

Corriere della Sera, 10 gennaio 2023

Al Carducci di Milano compiti delle vacanze «suggeriti», niente mezzi voti ed esami di riparazione anticipati

di Giovanna Maria Fagnani

La rivoluzione pedagogica al Carducci: meno lezioni frontali e libri di testo, più laboratori e temi sociali. Quinto anno tutto dedicato al Novecento

Al Carducci di Milano compiti delle vacanze «suggeriti», niente mezzi voti ed esami di riparazione anticipati

Adattare i programmi di storia, italiano, scienze, inglese, filosofia, arte, di modo che il quinto anno sia interamente dedicato allo studio del NovecentoAnticipare gli esami di riparazione a luglio, dopo i corsi di recupero estivi «più efficaci di un recupero diluito nel tempo e completamente a carico delle famiglie», per lasciare a studenti un periodo di stacco «e non un purgatorio» (per questo, anche i compiti delle vacanze non dovranno mai essere imposti, ma suggeriti) e per dar tempo agli alunni che lo desiderano di cambiare scuola, senza farlo di corsa a settembre.

Dalla finanza al volontariato

Nelle valutazioni, poi, eliminare il voto mezzo. Invece, introdurre, una volta l’anno, per ogni materia, un compito in classe elaborato e valutato da un team di insegnanti. «Perché è ingiusto che il 6 con Tizio valga l’8 con Caio». In classe, inoltre, stimolare la graduale diminuzione delle lezioni frontali verso attività di laboratorio, ricerca, rielaborazione, dibattito e promuovere anche l’utilizzo di strumenti «meno rigidi, predefiniti e costosi» dei libri di testo. Insegnare, oltre ai contenuti, anche i metodi delle discipline, per stimolare gli studenti a produrne di nuovi. E, guardando all’educazione civica, immergerla nella quotidianità, avvicinare i ragazzi al mondo dei meccanismi finanziari e monetari, alla gestione della contribuzione pubblica, a saper sbrigare pratiche legate a immobili, beni, servizi, stimolare la partecipazione a esperienze di volontariato. È una metamorfosi nell’impostazione pedagogica quella che Andrea Di Mario, preside al liceo Classico Carducci, propone ai suoi circa 100 docenti in un’integrazione all’Atto di indirizzo per l’elaborazione del Piano triennale dell’offerta formativa 2022-25. Il documento, rivolto al collegio docenti, nasce da un lavoro di analisi fatto dal preside con il gruppo di autovalutazione della scuola. Il collegio dovrà ora elaborare un «piano di miglioramento» per dargli attuazione.

I compiti di realtà

E l’intenzione del preside è anche di proporre un sondaggio alla comunità di genitori e studenti. Da cosa si partirà? Non è ancora stato deciso. Oltre ai provvedimenti già citati ve ne sono molti altri. Ad esempio, anticipare le gite ai primi giorni dell’anno scolastico per costruire il gruppo, non trattare le materie come compartimenti stagni e incentivare lo scambio di docenti fra classi. Inserire nella matematica i compiti di realtà (ad esempio analizzare i dati delle indagini proposte sui giornali), nell’inglese lo studio di microlingue scientifiche e professionali. E poi ridurre l’unità oraria ricavando minuti preziosi che, sommati, diventano ore in coda alla mattinata. Ore che saranno dedicate ai progetti e, per i maturandi, a attività di orientamento universitario e preparazione dei test d’ingresso.

«Sostenibilità»

Si parla anche di «sostenibilità dello studio e carichi di lavoro» e c’è l’ipotesi di un «quinto anno orientante», in cui, per avvicinare i ragazzi alla didattica universitaria, si sperimenterebbe una nuova scansione. Ovvero alcuni mesi di spiegazioni e poi settimane dedicate solo a compiti in classe e interrogazioni. «Questo non è un piano dei miei desiderata, né tantomeno un’imposizione — chiarisce il preside —. Molto di ciò che viene enunciato al Carducci c’è già, solo che non è proposto in maniera strutturale. Magari viene attuato da alcuni consigli di classe e da altri no. Con questo atto si valorizza la professionalità e lo spirito di ricerca dei miei insegnanti: ne abbiamo un gruppo straordinario e che è la maggioranza. Senza questi docenti io non potrei fare nulla. Il loro lavoro si vede nei numerosissimi progetti che attuiamo ogni anno. E i risultati li vediamo anche nelle richieste di trasferimento da altri licei al Carducci: quest’anno ne ho 89, e solo 15 richieste in uscita».

Il lavoro in gruppo

Qualche esempio di innovazione già attuata? «Una docente di greco ha proposto un compito in classe a gruppi, coi ragazzi divisi la prima volta in team omogenei e la seconda invece a livelli: i bravi tutti insieme, idem i medi e i meno brillanti. I risultati migliori sono venuti da questi ultimi che, in gruppo, hanno affrontato decisamente meglio la prova». Il modello scolastico in generale, secondo Di Mario, dovrebbe cambiare. «Il Carducci, come tutte le superiori, è una scuola di politica. Insegna democrazia e educazione civica in maniera attiva. La didattica frontale non è una nemica, ma costruire il sapere condiviso è quello che la scuola deve urgentemente fare».

«Ultimo anno dedicato al Novecento»

Si parte dalle radici. «Non è pensabile che a ottobre del quinto anno si stia ancora studiando Manzoni o Foscolo. L’ultimo anno va dedicato interamente al Novecento, alle radici del mondo contemporaneo. La scuola italiana è legata alla storia, si fa storia della letteratura più che letteratura, si procede cronologicamente come l’indice dei libri. E i licei, in questo senso, sono più indietro degli itis e dei professionali, più abituati a problematizzare le materie, a portarle nel contemporaneo».


Come ex allievo ed ex docente: complessivamente contrario.

Stefano Torelli

 

come ex allieva ed ex docente:
contraria anch'io

Chiara Crisciani

 

Favorevole al 100%

Luca Valdiserri

 

Favorevolissimo! Ho fatto i complimenti al preside. Del resto noi vecchi carducciani ricordiamo il prof Guglielmino che 50 anni fa lanciò lo studio del Novecento! Ciao 

Luigi Vimercati

 

Sulla carta è fenomenale... 

I ragazzi di oggi li perdi con le lezioni nozionistiche frontali.

Direi che questo progetto, dalle gite in classe anticipate a settembre per care gruppo, agli esami di riparazione a fine luglio , alla diversa organizzazione delle lezioni, all'attenzione al Novecento. ..è molto coraggioso ed innovativo.

Una scuola che non guarda solo indietro ma guarda con attenzione e coraggio al futuro.

Rossella Bucca

 

Carissimi

Grazie mille, molto interessante. E allucinante.

Mi si deve spiegare come si fa a 

stimolare la graduale diminuzione delle lezioni frontali verso attività di laboratorio, ricerca, rielaborazione, dibattito e promuovere anche l’utilizzo di strumenti «meno rigidi, predefiniti e costosi» dei libri di testo.  Insegnare, oltre ai contenuti, anche i metodi delle discipline, per stimolare gli studenti a produrne di nuovi.

Come si fa a stimolare studenti che non hano ricevuto un'informazione qualsivoglia in una disciplina, a produrre nuovi metodi di ricerca?

Mi sembra di leggere quello che scrisse non so chi, in un twitter, qualche mese fa: "Nelle scuole bisogna privilegiare le materie non conoscitive".

Evviva!

Paolo Giacomoni

 

Ho conosciuto il preside del Carducci anni fa quando aveva appena sostituito una persona di valore quale era Monopoli. L'occasione era stata il mio incontro con uno o due classi, non ricordo esattamente, come maestro del lavoro per parlare di orientamento. Non mi aveva fatto un'impressione particolarmente positiva.
Ieri, leggendo l'articolo del Corriere,rilevo un'iniziativa dinamica,  aperta alla societa, al di là di alcune dichiarazioni un poco enfatiche. Mi ha colpito lo spazio e l'apertura  in prima pagina che equivale a un'attenzione molto significativa del quotidiano e, implicitamente, un giudizio positivo.

Enrico De Carli

 

Non posso giudicare del valore in sé di metodi di insegnamento che sicuramente possono evolvere e essere piu aggiornati ai tempi.
Includere l'attenzione al Novecento di certo è qualificante ma ancora non riguarda di per se' il metodo. (Noi avevamo per testo la guida al 900 di Gugliemino)

Da modesto boomer maturato nel 1978 sezione G, credo pero' che l'elemento essenziale sia quello umano = il valore e la capacità dell'insegnante o professore, cosa che ho continuato a verificare anche per la parte universitaria della mia formazione e che con fatica e modestia ricerco nella mia funzione di docente universitario di oggi.

Saro' romantico ma il modello personale di identificazione e differenziazione ,ancora mi affascina.

Ignorante in tema di pedagogia e andragogia, ma appassionato della cultura e delle opportunità che ho colto e che ho mancato al liceo classico Carducci.

Augusto Caraceni

 

E' da ieri che mi ronzano nella testa due domande.

1) Perchè un liceo classico dovrebbe occuparsi di "avvicinare i ragazzi al mondo dei meccanismi finanziari e monetari"?

2) Perchè bisogna prendere a modello gli Itis ed i Professionali per la loro maggiore attitudine a "problematizzare le materie e portarle nel contemporaneo"?

Perchè, buon dio?

Cesare Pianezzola

 

Non tutte le proposte presentate nell'articolo mi vedono scettico, ma concordo con le domande che pone Cesare, soprattutto la prima. 

Sarebbe bello chiedere una risposta scritta ed avere un'autorevolezza sufficiente a spingere il preside a risponderci. L'altro giorno su un blog di un giornale ho avuto uno scambio con uno di quelli che vorrebbero togliere le versioni a favore di una generica infarinatura di cultura classica. 

In generale, sembra che il motto sia diventato "la squadra che vince la si cambia"...

Cari saluti, 

D. G. Sorrenti.

 

Cari Carducciani,

aggiungo anche io una domanda: a che cosa dovrebbe servire la scuola in una democrazia? Io direi a formare persone e cittadini responsabili, attivi, democratici, rispettosi del pluralismo...

Ma anche a porre la basi dei futuri professionisti, in tutti i campi, dai più intellettuali ai più manuali (ammesso e non concesso che oggi si possa dividerli).

Allora, secondo me, ben venga che le scuole sperimentino modalità nuove, visto che i ragazzi oggi sono diversi da noi "boomer".

Io mi fido degli insegnanti e dei presidi che vogliono sperimentare modalità nuove.

Poi è chiaro che siamo in fase di iscrizioni per il prossimo anno scolastico e quindi ogni scuola deve accaparrarsi iscrizioni per sopravvivere, ma guai se non manterranno le promesse fatte oggi!

Buona continuazione della interessante discussione.

Stefano Pierantoni
Corso E
Maturità 1982

 

Come tutte le cose, anche il liceo classico è destinato a cambiare.
Tuttavia...
Mi sono diplomato nel 1962, ho fatto Fisica, e poi per tutta la vita il docente universitario, insegnando Metodi Matematici della Fisica agli studenti di fisica e Meccanica Quantistica a quelli di matematica.
Come studente di fisica, e poi come ricercatore, per me è stato fondamentale il metodo di studio appreso al ginnasio, nello studio (preciso e analitico) del latino e del greco sotto la guida di una professoressa molto, ma molto, esigente, la Prof. Procacci.
Dopo quel biennio, fondamentalmente di latino e greco, ho trovato facile capire tutte le altre materie, in particolare la matematica a cui ho applicato esattamente la tecnica imparata col latino e col greco. Non perchè latino e greco siano speciali, ma perchè erano lingue studiate molto a fondo, anche nei loro aspetti strutturali, e insegnate da professori molto competenti.
Veniamo ora all'inglese. Per essere utile materia di liceo classico, dovrebbe essere insegnato in modo rigoroso, mettendone il luce la differenza strutturale con italiano, latino e greco, che è molto profonda.
L'inglese è in realtà difficile come le lingue classiche e andrebbe insegnato così. Se no, tanto vale che gli studenti seguano un corso in una delle innumerevoli scuole di inglese, o che il liceo organizzi corsi di inglese con insegnanti madrelingua volti solo a insegnare l'inglese parlato e scritto in modo autentico (la maggior parte degli isegnanti liceali di inglese che ho conosciuto o di cui ho saputo dai miei molti nipoti, in realtà non sanno bene l'inglese e hanno una pronuncia allucinante), magari prendendo il tempo dagli strumenti finanziari e daltre cose che si imparano nel corso naturale della vita.
Per finire: nel corso dei miei molti decenni di insegnamento, la maggior parte degli studenti bravi veniva dal liceo classico. Per l'importanza anche per loro delle lingue classiche del Liceo, basti dire che qualcuno dei più bravi mi avevano detto che avevano scelto fisica o matematica dopo essere stati a lungo tentati di iscriversi a Lettere Classiche
Un caro saluto a tutti.
Franco Gallone

Mi piace molto il messaggio di Franco Gallone. Rivendica una particolare validità del Liceo Classico nella formazione culturale di nuovi e più attrezzati cittadini del ventunesimo secolo, e lo fa senza eccessiva autocelebrazione. Aggiungo in appendice che l'elasticità di pensiero che le lingue antiche stimolano si manifesta incredibilmente anche in altri campi dello scibile: ho insegnato per 42 anni nei Conservatori di Musica e gli allievi con una maturità classica che ho avuto hanno sempre manifestato una profondità e una ricchezza di pensiero musicale sensibilmente superiore agli altri ragazzi (ovviamente non si può generalizzare, ma sui grandi numeri alla fine si traggono conclusioni piuttosto veridiche). 

Sull'Inglese confesso invece un mio nervo scoperto: pur avendo iniziato a praticarlo in tenera età non sono mai riuscito a padroneggiarlo veramente bene. E' del tutto probabile, e anche qui concordo con Gallone, che l'Inglese imparato a scuola, almeno nel mio caso, fosse abbastanza deficitario. Non dovrebbe più succedere nel mondo attuale.

Grazie per l'ospitalità e buon 2023 a tutti
Francesco Biraghi, già docente di chitarra al Conservatorio Verdi di Milano
Maturità 1974

 

Commento al volo, per singoli punti:

V anno interamente dedicato al Novecento > senz'altro affascinante, ma si riuscirà a svolgere tutto il resto del programma nei quattro anni precedenti?

esami di riparazione a luglio > no, nessuna reale possibilità di recupero, inutili e inattuabili

compiti delle vacanze "suggeriti" > una banalità, i compiti delle vacanze sono una forma di allenamento, di cui gli studenti saggi dovrebbero avvertire la necessità senza bisogno di ordini imperiosi

abolizione del mezzo voto > ovvia per il voto finale, ma il mezzo voto resta utilissimo, sul piano pratico e in itinere, per il giudizio del docente

valutazione di un compito in classe da parte di un team di colleghi > molto pericolosa, divisiva e irrispettosa dell'autonomia del docente

acquisire nozioni metodologiche > altra banalità, chiaro che una buona didattica trasmette metodologia attraverso le nozioni

addestramento al mercato finanziario > no comment ...

la gita a inizio anno > tipo vacanze dei Morti o Sant'Ambrogio? idea molto carina, ma non è detto che il meteo sia propizio

compiti di realtà > forse (ma non sono un matematico e non me ne intendo)

microlingue dell'inglese > bah, che imparino intanto un inglese esperantico, accettabile nelle comunicazioni internazionali, e poi si vedrà

riduzione dell'unità oraria > sì, è una buona idea

compiti in classe di gruppo > mammamia !!! di nuovo queste sessantottate !!!

V anno orientante > ma no, all'orientamento ci pensiamo noi dell'Università

Grazie dell'attenzione,

Maurizio Harari 

(maturità 1972)

già direttore del Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Pavia

 

Cari amici Carducciani, 

Sconcertante! Alcune riflessioni per condividere ciò che sommariamente, ma molto chiaramente, ha ben scritto il professore Harari. 

Un attempato ‘maturato classico’ nel 1959, certamente stagionato e stracotto (Treccani, «passato di cottura»), ora, nel 2023, a 82 anni, è più che mai convinto, dopo più di cinquant’anni d’insegnamento universitario (medicina e chirurgia), che il grande rimpianto di oggi sia il Liceo classico del dopoguerra (intendo, ovviamente, la guerra del 1940-1945). I pochi sopravvissuti del Carducci di via Lulli so, per certo, che ricordano e rimpiangono i professori Boniti, Borsa, Ciresola, Cuzzi, Fagiolo Paci, Guglielmino, Massariello, Santangelo, Sereni, Stojan, Vedovello, Tramarollo (e molti altri). 

Il preside d’allora Ezel Volpe Rinonapoli mai avrebbe pensato di distribuire questionari agli studenti “per vincere l’ansia dei voti per motivare chi è in difficoltà”, né si sarebbe mai rivolto al Corriere della Sera per convincere gli indecisi a iscriversi al Carducci… Allora, si studiava, si studiava tanto e… basta! Certamente, con più difficoltà delle attuali, siamo cresciuti «cittadini responsabili, attivi, democratici, rispettosi del pluralismo» come giustamente afferma Pietrantoni del Corso E 1982. 

La lezione frontale è, a mio parere (sono di parte in quanto chirurgo), insostituibile: eliminare il contatto fisico tra docente e alunno non consente miglioramento alcuno dell’attività didattica che, tra l’altro, è molto condizionata dalla disponibilità di apparecchi tecnologici; la recente esperienza del cosiddetto DAD è stata, a dir poco, disastrosa e a breve ne vedremo i danni. 

Si preferisce in un liceo classico avvicinare i ragazzi al mondo dei meccanismi finanziari e monetari? Saremmo riprovevolmente i primi al mondo. Spero non si seguano queste proposte. 

Il liceo classico si contraddistingue dalle altre scuole superiori per un più approfondito studio dell’Umanesimo, che oggi dovrebbe essere inteso come “rinascita” della cultura europea dopo i troppi secoli bui che ci hanno preceduto. I classici latini e greci, Dante, Petrarca e Boccaccio, come possono sopravvivere se non ci accostiamo a loro durante il liceo. 

Leggo nell’articolo «Non è pensabile che a ottobre del quinto anno si stia ancora studiando Manzoni o Foscolo» Al liceo non si studia Manzoni o Foscolo (dissimile binomio e, comunque, il loro studio è compito di letterati e linguisti), ma si insegna e si impara a conoscerli per comprendere quanto la nostra letteratura ha inciso sulla letteratura d’oggi in ogni paese del mondo. Ma stiamo scherzando? 

Quindi, “metamorfosi nell’impostazione pedagogica” o rivalutazione del nostro Liceo Classico che il mondo occidentale, nella seconda metà del secolo scorso, lo riteneva modello “difficile da imitare”. 

L’orientamento universitario non è compito dei docenti liceali, ma dovrebbe essere delle Università, che, purtroppo, non sempre hanno trattato con l’attenzione dovuta questo processo fondamentale nel momento più critico del liceale, ovvero al termine del suo percorso. 

Dedicare un anno intero, l’ultimo, allo studio del Novecento? Cosa vuol dire? Ci si riferisce all’arte, alla letteratura, alla storia? Un anno non può bastare. È un’assurdità, il Liceo deve insegnare a conoscere, non approfondire (compito dell’Università) gli eventi più rilevanti di storia, arte, letteratura, filosofia, in modo tale che uscendo dal liceo, per tutta la propria vita, si mantenga curiosità per le humanae litterae e la paideia, che saranno sempre utili, direi fondamentali, in qualunque professione. 

Emma Bonino in più occasioni, e forse a ragione, ha affermato che in Italia sarebbero necessari più ingegneri e operai specializzati che latinisti. È bene chiarire, i diplomati del Liceo classico non sono latinisti, meglio definirli “difensori dell’Umanesimo”. La qual cosa non significa fervore esclusivo per lo studio dell’antichità. Eventualmente, si prenda in considerazione il progressivo recente avvento dell’umanesimo digitale (da alcuni studiosi definito terzo umanesimo o neoumanesimo)ovvero il risultato di una convergenza finora all’inizio di una sperimentazione tra il nostro complesso patrimonio culturale e una tecnologia che ha prodotto una sfera sociale senza precedenti. 

Sperando sempre che i “meccanismi finanziari e monetari” stiano alla larga… 

Cari saluti a tutti i carducciani 

Renzo Dionigi

 

Permettetemi di portare il punto di vista di chi ha avuto la fortuna di vivere da protagonista nel mondo della tecnologia globale e avanzata. Idee personali, fallaci, raramente condivise.

La velocità dell’innovazione è presto raccontata dalla mia esperienza: quando ho cominciato a lavorare i più bravi al mondo mettevano circa 10.000 transistor su un chip, oggi stiamo arrivando a 100 Miliardi. Le conoscenze e le capacità necessarie a realizzare un prodotto sono così diverse che nessuno avrebbe mai immaginato l’evoluzione. Molti hanno cambiato mestiere, alcuni sono stati capaci di adattarsi e perfino di progettare il futuro. 

Provate a proiettare questa accelerazione e considerate che la velocità di innovazione è un esponenziale doppio e avete un’idea della sfida che la società porrà fra trenta o quaranta anni ai ragazzi di oggi. Aggiungiamo che la aspettativa di vita si allunga, si dovrà lavorare fino almeno a 80 anni ecc ecc.

In questo scenario NON è importante che materia si insegna, ma insegnare le capacità che stanno alla base dell’apprendimento: analisi, sintesi, collegamento di elementi complessi e apparentemente scollegati, ecc ecc. Si può fare con le materie classiche (come ai nostri tempi in Italia) o con quelle scientifiche (come mi dissero i miei che si farebbe in Cina). Quando hai metabolizzato le capacità di base impari qualunque cosa. La scuola dovrebbe innanzi tutto insegnare a imparare tutta la vita. Poi sviluppare la curiosità, l’iniziativa ecc.

Un maestro di vita quale Augusto Camera, professore nella G, partigiano e antifascista, parlava di Giovanni Gentile come di un genio. Aveva (e lo scrisse) un’idea di classe dirigente e creò il Liceo Classico proprio per insegnare analisi e logica (latino), Sintesi (greco), complessità (filosofia e letteratura), ecc, per poi mettere in relazione realtà diverse e apparentemente non collegate (storia, filosofia, letteratura, versioni ecc). Libertà e apertura di pensiero era la chiave. E passati i primi mesi nessuni di noi fece fatica a Ingegneria, anzi.. Per avere più ingegneri non serve insegnare Scienza al Liceo, serve centrare la Società sul produrre ricchezza (industria) invece che sull’ investirla (finanza). Perché le scelte dei ragazzi sono fatte sui modelli di successo.

Gentile pensò il Liceo Scientifico per i quadri dirigenti tecnici, centrato sulle capacità di esecuzione e infine gli ITIS per i quadri inferiori, che dovevano avere competenze tecniche specifiche per eseguire compiti specifici.

C’era un disegno di società del futuro che è durato almeno quarant’anni, alla fine centrato sul fordismo industriale. Poi il mondo è cambiato e il modello ha mostrato la corda, ma è normale. Il miracolo è stata la durata.

Da allora solo riforme a capocchia per insegnare materie a macchia di leopardo (inglese, adesso finanza e chi più ne ha più ne metta) senza un disegno strategico, ma togliendo via via pezzi fondamentali del progetto iniziale. Se sostituisci il greco con l’Inglese perdi un pilastro dell’insegnamento; se togli il latino perdi l’analisi e la logica e i ragazzi non imparano ad analizzare i problemi in profondità. Peggio, se non studi Iliade, storia, filosofia greca in contemporanea perdi la capacità di collegare cose complesse e scoprirne il nesso. Certo si può fare con matematica, chimica e fisica, magari con il tedesco, anche l’Inglese per insegnare un linguaggio semplice e poco strutturato, ma ci vuole un progetto coerente.

A questo quadro aggiungete l’automazione, che rende il lavoro manuale non creativo una commodity, il cui valore è poco più dell’ammortamento della macchina. In tempi recenti è arrivata l’Intelligenza Artificiale che per ora rende commodity il lavoro intellettuale non creativo, ma nei prossimi 10/15 anni arriverà ben oltre. Quando nel 2015 lo dissi a Renzi in visita di corsa alla fabbrica di Catania, si fermò e disse che questo avrebbe significato rifare la scuola.. poi anche la società, dobbiamo assolutamente parlarne. Capì, ma non ebbe la forza, o il tempo di prendere l’iniziativa. A onor del vero in tanti anni e in discorsi fatti con tanti interlocutori solo l’allora Ministro Svizzero dell’Educazione e della Ricerca, Charles Kleiber, partì per progettare un intero percorso di Studi con una visione del futuro e una logica sottostante. Lavoro abbandonato dal suo successore (ma in Svizzera la scuola ha ancora una coerenza superiore alla nostra).

Aggiungiamo a questo quadro che la quantità di conoscenza che si crea oggi in un solo settore al mondo, o che semplicemente si dovrebbe conoscere per interagire a livello globale sono al di là della capienza del cervello umano, e si vede la sfida, che non è quella delle singole materie, della durata dei cicli, della DAD (fra l’altro i nostri genitori studiarono durante la guerra e mi pare abbiano lasciato un mondo migliore di quello che trovarono..), ma cosa insegnare e perché.

Come avrebbe detto, e come ha insegnato Augusto, bisogna agire sulla struttura delle cose. Mettere mano alla sovrastruttura pensando di risolvere i problemi mi ricorda la macchina per tagliare il brodo che Enzo Tortora fece presentare a Portobello.

A presto

Andrea Cuomo

 

Cari Carducciani

sono un maturato del 1958 (credo ultimo anno del liceo in Via Lulli).

Sono ingegnere chimico e per oltre 40 anni ho girato il mondo (almeno una settimana in tutti i paesi sopra l'equatore ad eccezione di Libia ed Afganistan) per progettare e vendere impianti industriali. La formazione che ho ricevuto al Carducci (sezione A con Cuzzi, Massariello, Mari, altri) ha lasciato un'impronta indelebile in tutta la mia vita anche di lavoro.

Sono d'accordo con le considerazioni di Renzo Dionigi, con una precisazione: se "i troppi secoli bui che ci hanno preceduto" intende il Medioevo (prima dell'Umanesimo) dissento, perché troppe splendide opere sono state fatte nel Medioevo.

Quanto all'educazione sui meccanismi finanziari e monetari ricordo un periodo durante il quale, specialmente in USA, si privilegiavano gli ingegneri specializzati in financial engineering (stipendi più elevati rispetto ai tecnici) ma poi si fece parziale retromarcia. perciò non sottrarei ore ad altri insegnamenti..

Cari saluti a tutti

Sergio Passoni

 

Cari Carducciani:

CONDIVIDO pienamente i commenti di Maurizio HARARI, che viene - come me - dal corso A (Io più grande di un anno, maturità 1971) e che - come me - ha gestito per decenni i nostri liceali come studenti di lettere (lui) all’Università di Pavia, di medicina (io) presso l’Università Statale di Milano. La formazione che noi tutti abbiamo ricevuto al Carducci ci è stata trasmessa dai nostri docenti con metodi d’insegnamento che possono essere riproposti tali e quali ancora oggi con il solo aiuto delle tecnologie informatiche ma senza stravolgere i programmi di un liceo classico. Con tanti auguri di buon anno a tutti i Carducciani. 

Augusto B. Federici

 

Sono anch’io una più che “stracotta” ex-carducciana (maturità 1958, sez.B = preistoria).

Ho insegnato per decenni tra liceo classico e artistico, accademia e università.

Concordo pienamente con quello che scrivono Harari, sinteticamente, e più diffusamente Dionigi e Cuomo, quindi non ripeto.

Ma stiamo in guardia dal canto delle sirene! Si sa dove portano…

E poi basta con le menate sulla lezione frontale, che è uno strumento didattico più che valido, sempre che sia sempre intesa come lezione di metodo e che l’insegnante stabilisca un rapporto, un contatto con gli studenti e li incoraggi e chiedere che cosa non hanno capito e sia disponibile a chiarire, a rispiegare. Negli anni del liceo si deve imparare a studiare, gli approfondimenti devono/dovrebbero spettare ai percorsi universitari.

Un caro saluto a tutti

Anna Finocchi

 

Forse io sono stata meno fortunata entrando al liceo nell'anno di fine guerra.Così, ad esempio,ho avuto tre professori diversi per italiano ,il professore di latino e greco Godi (non ricordo il nome)secondo me molto bravo ha potuto insegnare solo due anni perché purtroppo si è ammalato gravemente. Degli insegnanti nominati da molti di voi, in comune solo l'Arata. Personalmente penso che il liceo classico insegni a porsi problemi,ad attivare uno spirito critico,a promuovere interessi culturali.Quanto all'essere futuri ingegneri ricordo un amico architetto che osservava come le matricole provenienti dal classico facessero più fatica il primo anno per essere poi fra i primi nel secondo,cosa che si verificava anche per ingegneria. Buona giornata a tutti

Pinì Pirrone

 

Buona giornata a tutti 

Non mi stupisce la grande partecipazione a questo dibattito: lo spirito di partecipazione critica ha sempre caratterizzato l’atmosfera carducciana e non si smentisce ne’ si annacqua col passar del tempo……

Diplomato nel 1961, e quindi nel Mesozoico rispetto ad oggi, vorrei porre alla vostra attenzione alcune brevi considerazioni secondo me propedeutiche a tutti gli interessanti punti di vista che ho letto: se in qualcuna delle mail considerazioni simili sono state fatte e mi sono sfuggite chiedo scusa in anticipo.

la offerta formativa: era un percorso obbligato per la mia generazione e per quelle contigue: la scelta dipendeva da fattori che con la indubbia bontà del progetto formativo offerto dal liceo classico avevano poco a che fare: voglio dire che chi andava al Liceo ci andava perché, nella stragrande maggioranza dei casi, aveva un progetto professionale post liceo già chiaro in testa, o lui o la sua famiglia.

poi classico o scientifico dipendeva da attitudini personali, talora semplicemente da quello più vicino a casa ( allora erano pochi i licei statali a Milano), dal liceo che avevano fatto i genitori o i fratelli maggiori ( quante storiche generazioni al Carducci! Inutile elencarle tutti noi le abbiamo ben presenti!).

Credo quindi che sia le famiglie che, soprattutto, i ragazzi avessero solo marginalmente in testa l’idea di affrontare un percorso formativo che ‘ avrebbe fatto loro bene’ aprendo loro la mente ,la coscienza, lo spirito critico etc etc.

Per diventare medico, avvocato , notaio, professore, credo anche, allora, ingegnere architetto, geologo, agrario veterinario, dovevi fare il liceo e ce n’erano solo di due tipi.

Percorso duro, selezione alta, sembrava di essere in guerra, le classi perdevano allievi bocciati o che cambiavano Istituto/indirizzo ( io ero nella Sez E, Boniti, Citrini,Catenazzi,Onorato, Zambarbieri , Zanotti , in ordine alfabetico).

Zambarbieri ( detti Zamba) , grande professore che ho visto e rivisto fino a poco tempo prima della sua morte, esordi’ in prima liceo con un ‘ non sono io che devo scendere a voi, ma voi che dovete salire a me…’ e molti rimasero per strada…

Boniti di cui ho ancora i quaderni degli appunti di letteratura italiana ,nozionistici fino alla nausea che le famiglie si passavano di fratello in fratello e chi non aveva fratelli li cedeva ai primini, perché erano sempre gli stessi da tempi immemorabile. In tre anni con Boniti non abbiamo letto un solo testo.

ma era una scuola ,ripeto dura, di vita che, contemporaneamente, ti allenava martellandoti, a risolvere problemi, a pensare e scrivere in un modo civile e sotto il terrore della metrica greca e latina, preliminare alla interrogazione vera e propria, 

( se non sapevi leggere in metrica’ ciaone ‘ direbbero i miei nipoti oggi) ti prrmetteva di entrare in un mondo di pensiero che aveva già detto tutto quello che c’era da dire sull’Uomo, ma sfido la maggioranza dei liceali di allora a dirmi se allora ne erano consapevoli, impegnati come erano a cercare diessere promossi senza esami a settembre

dopo,certo che all’Universita’ ti accorgevi che lo stile cognitivo che era stato forgiato in te ti rendeva più leggero il lavoro di apprendimento e la maturazione professionale, ma , credo, solo dopo te ne potevi accorgere.

Ora di tutto questo penso che non resti nulla: tre dei miei nove nipoti fanno il liceo, due il classico uno lo scientifico per quello che ho visto il metodo di insegnamento è cambiato ma perché sono cambiate le Scuole Medie e ad esempio devono fare otto anni di latino in cinque.

sono disponibili innumerevoli tipi di liceo con innumerevoli indirizzi e puoi andare in qualsiasi Facoltà da qualsiasi Istituto: a Medicina, dove il risolvere problemi è il pane quotidiano, insegnando,io lo facevo al quint’anno , quindi a studenti quasi Dottori, la maggior parte di loro non era capace di ragionare per risoluzione di problemi, ma si aggrappavano agli esami di laboratorio alle tecniche di immagine cerebrale etc etc, un po’ come quando di fronte ad una versione di Tacito o ad una di Plutarco filosofico ( tra i più amati dallo Zamba) ti aggrappavi quando non capivi nulla al Calonghi o al Rocci disperato e sperando di trovare una frase riportata e tradotta che gettasse luce nella tua oscurità mentale.

Per dire che quanto proposto ( abolure i mezzi punti, esami a luglio etc etc verifiche di gruppo ) mi pare irrilevante rispetto ai cambiamenti epocali peggiorativi e dannosi prodotti ben prima.

Un caro saluto a tutti

Silvio Scarone maturato 1966 Sez E 

 

Cari Carducciani,

io sono un carducciano anomalo. Ho fatto il Carducci (dopo le medie al Quintino di Vona) nella sezione C (Romoli, Olivieri, Arata, Pandini, Rossetti) fino alla Prima Liceo e poi sono andato un anno a Portland nell’Oregon con l’AFSIS. Al ritorno dagli USA (1955) la mia famiglia si era trasferita va Torino e io con un esame di ammissione acrobatico (grande comprensione di Ezel Volpe Rino-Napoli) ho fatto la terza Liceo al Cavour di Torino (il liceo antropologicamente omologo al Parini di Milano per il contesto Sabaudo). Ma sono rimasto carducciano. Il DNA del Carducci di via Lulli resta indelebile. 

A Torino ho fatto architettura e la carriera universitaria (Tecnologia dell’Architettura), il Preside della Facoltà, poi l’assessore della Città di Torino. Poi l’addetto scientifico a Jakarta e ora in pensione vivo in Australia a Perth, dove ho ancora insegnato per qualche anno Environmental Sustainable Architectural Design.

Quando venivano amici milanesi a Torino (per esempio Gregotti e Cagnardi per il PRG) mi offrivo di aiutarli nella comprensione della cultura locale come oriundo milanese. Cosa puoi fare mi chiedevano: “Ti posso far capire quando un torinese dice di sì e quando dice di no”.

Per qualche motivo e combinazione storica e astrale il Carducci era diverso dagli altri licei milanesi, la matrice periferica antifascista, l’insieme dei professori, e non so quali altre circostanze, ma era “diverso”.

La mia sintesi sul dibattito: il Liceo Classico Italiano e in particolare il Carducci di Milano insegnava “ad essere intelligenti”.

Non saprei dire come, ma questo insegnava il Carducci di Milano.

Cordiali saluti. 

Complimenti per l’interessante dibattito…solo i carducciani!

Lorenzo Matteoli

 

Ringrazio stupito dall'essermi appassionato dalla lettura di tutti gli autorevoli interventi di ex carducciani e mi piacerebbe molto leggerne altri anche di qualche attuale carducciano, proprio per uno sviluppo costruttivo del brainstorming in atto. Io aggiungo solo che oggi, ormai da oltre un trentennio, passo gran parte del mio tempo a scrivere e, con dispiacere, solo per professione, ma se riesco a farlo decentemente lo devo si al Liceo ma, soprattutto, ai maestri di vita che sono stati mio padre, Roberto Romano, grande avvocato e primo membro "laico" del primo Consiglio di Disciplina del Carducci (ricordate ?!) e del professor Emilio Gavezzotti, ex carducciano, professore e cultore della scrittura chiara, logica ed essenziale.
Un abbraccio a Tutti.

Marzio Romano

 

Buongiorno.

Non intervengo mai, ma forse in questo caso... Si chiede voce dissonante e non so resistere a richiami così 

Maturità 1982, sezione C. 

Carducciana anomala perché i miei avevano, anzi hanno, la terza media e si sono opposti con tutte le loro forze al fatto che mi iscrivessi al liceo classico "che ti obbliga ad andare all'università".

A me piaceva l'italiano tutto (grammatica, letteratura) e mi affascinava il latino e avevo tutte le professoresse dalla mia parte.

Scelsi il liceo classico non sapendo nemmeno bene che cosa fosse (scoprii solo più tardi di essere una outsider e anche con un certo stupore) e ho passato 5 anni bellissimi, intensi e stimolanti, cavandomela per altro egregiamente. 

Detto questo però: perché mai il liceo classico dovrebbe rimanere invariato nel tempo? 

La cultura - sempre che solo il liceo generi cultura - si evolve, si modifica, si trasforma, figlia, purtroppo o per fortuna, dei tempi che viviamo e che contribuiamo tutti noi a creare. 

E questa è una grande cosa. Forse la più grande e la più meravigliosa. 

Il continuo vorticoso contraddittorio, strabiliante cammino dell'uomo. E del suo cervello che cambia. 

E allora: non mi spaventano le modifiche. 

Modifico persino la punteggiatura io che ne conosco bene le regole!

Insomma e per fare sintesi: a me piacerebbe che la scuola fosse fucina di novità (e non mi riferisco alla tecnologia che è solo uno strumento).

E non lo è che si tratti di un liceo o di un istituto tecnologico, legati a un nozionismo che i ragazzi non comprendono e all'idea che esista un solo tipo di intelligenza e un solo modo di essere intelligenti. 

Dipendesse da me, rivoluzionerei la scuola, ribaltandola e liberandola da tutte quelle catene che la imprigionano ad un passato che non esiste più (e non mi riferisco alle lingue antiche). 

Che poi: la cultura non è solo latino o greco... 

Ricordarcelo è doveroso.

Maria Matera

 

Sono ammirato , orgoglioso , entusiasta di questa bellissima conversazione

Un’idea per chi gestisce la mailing list … perché non raccogliere questi contributi , e magare sollecitarne altri tra tutti gli iscritti alla mailing list ? Qualche bravo giornalista professionista tra di noi ci sarà pure …! 

Una nota : il grande Galileo studio’ poesia , metrica , per oltre venti anni prima di scrivere di scienza ! I testi più curati li scrisse in latino .

E per di più , Galileo di solito è associato al metodo sperimentale moderno ma quello che lo rende grandissimo è la combinazione di sana pratica scientifica è fervida immaginazione ( gli esperimenti mentali del galeone e della penna in mano ad uno scrittore nel viaggio ipotetico tra Venezia e alessandretta ) tra tutti 

Ricordo che Karl Marx scrisse la sua tesi di laurea in latino . E che la sua tesi di corretta dal suo professore Hegel …

Saluti

Andrea Toso - maturità 1982 - sezione A

 

Cari Carducciani, 

anch’io ho letto con molto interesse e curiosità le vostre osservazioni che, non so perché, mi hanno sollecitato un pensiero stravagante: la ‘punteggiatura’.

Si tratta per me di un elemento della lingua italiana, allora (anni ‘50) importante, pressoché inesistente nella mente dei giovani di oggi, fondamentale nella comunicazione di ogni tempo.

Sono anch’io della via Lulli, sezione C, maturità 1956 (quindi “nel Mesozoico rispetto ad oggi” come dice Silvio Scarone!!). Sono avvocata (allora il femminile nella lingua non c’era e oggi, sia pure con difficoltà, esiste in alternativa a avvocatessa: molto tempo fa una mia amica linguista mi aveva spiegato la differenza, nel femminile, tra gatto/gatta e leone/leonessa ma non la ricordo più). Proprio perché il processo civile è scritto, penso che la nostra scuola mi ha fatto capire che un elemento relazionale importante è la ‘comprensione’: non solo, quindi, esprimersi ma anche, e soprattutto, farsi capire.

Oggi spesso mi capita di vedere che uno dice/scrive una cosa e l’altro ne risponde un’altra. Invece Oliveri, professore di italiano e latino nella mia sezione, teneva molto alla chiarezza nell’espressione, alla creatività nelle idee e alla correttezza nella comunicazione con l’altro, proprio per permettere all’altro di comprendere: e la ‘punteggiatura’ aiutava - anche oggi aiuta - la comprensione.

Così, almeno, ho capito e imparato io!! Per questo la ‘punteggiatura’ è entrata nella mia mente come importante funzione espressiva del pensiero, che al Carducci ho imparato, insieme a tante altre cose!!. Grazie di avermelo ricordato!

Un abbraccio e, visto che sono ancora in tempo, buon anno a tutti.

Laura Hoesch

 

Caro Liceo Carducci, Liceo della mia gioventù, 

mi ha fatto sensazione, qualche tempo fa, ripassare davanti a Te e non vedere la moltitudine di ragazzi radunati vicino al cancello prima della campanella d’ingresso, tra gli schiamazzi di alcuni e gli sbadigli di altri; non trovare più le moto parcheggiate alla rinfusa, le cicche di sigaretta abbandonate in giro, ancora accese fino all’ultimo tiro. E i lunghi baci degli innamorati, che non vorrebbero staccarsi mai. 

C’era solo silenzio. Il cancello chiuso... ma dentro di me si sono in un attimo aperti i ricordi. 

Ho rivisto nitidamente quel ragazzo della fine degli anni settanta, pieno di capelli, che ogni mattina usciva dalla metropolitana – perennemente in ritardo – e correva forsennato tra la gente in Viale Brianza per arrivare in tempo in classe, dove la lezione era però già cominciata. 

Il mitico Fabietti, professore di storia e filosofia, al mio ingresso smetteva di spiegare – mentre io chiedevo scusa – e seguiva silente che prendessi posto, osservandomi senza dire nulla: il suo sguardo era comunque eloquente, palesando un evidente disappunto, per poi sbottare in un: “Runfola, sei uno sfrucugliatore incallito!”. Ma sentivo che mi voleva bene. 

Quante volte nel tempo avrei voluto chiedergli ancora scusa, ma in modo più sincero di allora; con più rispetto, avendo tra l’altro avuto la fortuna di ascoltare le sue preziose lezioni. 

Trasmetteva, lui come altri (De Tura, De Simone, Zambarbieri, Mazza e quanti ancora), la passione; la chiave e le regole per leggere e studiare nel giusto modo le singole materie, aprendo la mente, allenando non solo la tecnica, ma anche il pensiero. 

Oggi intanto si discute di nuovi mezzi, di nuovi strumenti. Si pensa di poter migliorare e di cambiare una scuola che era già migliore. 

Non c’era necessità di insegnare l’educazione civica, perché era già implicita negli insegnanti e nella società. 

Perfino l’altrettanto mitico Minari, professore di Educazione Fisica, in quelle sole due ore settimanali era in grado di sottolinearci l’importanza dello sport e della ginnastica non solo per il fisico, ma anche per l’anima. 

Ci insegnò ad affrontare le sfide di esercizi anche difficili, ma per farci provare il piacere di tentare di superarle, caratteristica che conservo orgogliosamente ancora oggi. 

Pur non insegnando materie umanistiche, lui comunque alimentava una sorta di umanesimo: perfetto anche lui per un liceo classico. 

Questo eri Tu, Carducci: terra di ottimi professori e di bellissime esperienze di crescita. 

Non penso che Tu possa diventare migliore eliminando i voti di mezzo o riducendo le lezioni frontali, trasformandole in laboratori e ricerca, magari tramite una applicazione su tablet o cellulari, rischiando magari di rendere più passivi e meno coinvolti gli studenti. 

Non penso che ridurre l’insegnamento delle materie tradizionali, a vantaggio di altre (finanza, gestione immobiliare, e gastronomia non la mettiamo?), possa rendere aperta la mente più di una poesia di Leopardi, di una versione di Epicuro o della Divina Commedia. 

Per questo ritengo, con un pizzico di malinconia e di presunzione, che più che cambiare i metodi bisognerebbe cambiare le persone, ritrovando chi sappia ancora valorizzare – e magari rivalutare - tutte le caratteristiche essenziali del Liceo Classico, in un confronto tra insegnanti e studenti che giorno dopo giorno renda ogni ragazzo più responsabile e più adulto (e quindi più libero). 

Un confronto vero però, non una selezione di studenti di serie A, B o C, suddivisi in base ai voti o, come si usa dire o fare oggi, in base al merito. 

E’ poi vero che oggi ci sono strumenti e intelligenze artificiali che possono essere utili, senza dubbio: non possiamo negare le repentine trasformazioni. Ma dobbiamo fare in modo che siano al servizio degli studenti e degli insegnanti, non che si dipenda completamente da loro. 

La tecnica e le formule possono essere generate dalle macchine, il pensiero – almeno fino a oggi – ancora no: il pensiero deve essere alimentato. E al liceo classico ci sono antichi strumenti, ma sempre moderni, che valgono e varranno per questo scopo. Qualcuno che li sa usare c’è ancora. 

Concludendo, Caro Liceo Carducci, Liceo della mia gioventù, spero un giorno di ripassare e rivederti uguale, come tanti anni fa; con gli schiamazzi, i libri negli zaini sempre più pesanti, un ragazzo che arriva correndo come un matto dalla metropolitana... e quei baci degli innamorati che non vorrebbero smettere mai. 

Pasquale Runfola
maturità 1981

 

… il liceo classico, mi pare sia stato istituito nel 1859 e riformato nel 1923.

Se volessimo considerare solo la seconda data, quest’anno festeggeremmo i suoi 100 anni.

Ci siamo diplomati in tanti e i principali sentimenti che avverto comuni a tutti noi, sono la riconoscenza e la nostalgia.

L’attuale dirigente del “nostro” Liceo, a quanto leggo, medita significative innovazioni.

Potrà senz’altro proporre al Ministro l’istituzione del “Liceo del Futuro” lasciando al “Classico” -che non è sinonimo di vetusto- lo sperimentato ruolo formativo d’eccellenza avuto fino ad oggi.

Un caro saluto a tutti,

Marco Moiraghi Sez. H maturità. 84

 

Carissime Carducciane, carissimi Carducciani, 

stimolante è l’intervento di Maria Matera, come, del resto, molte altre mails di questi ultimi giorni. 

Preoccupano le osservazioni di Maria su punteggiatura e virgole; prima di ogni modifica, mi affiderei agli eccellenti linguisti usciti anche dal nostro Liceo, unici accreditati a dire qualcosa in merito. Da parte mia, quando scrivo e rileggo più volte i miei scarabocchi, mi rendo conto che questo segno d’interpunzione mi consente di migliorare la leggibilità, permette al testo di conquistare l’attenzione, talora di cambiare il significato della frase. Non è certamente la virgola che si oppone allo «strabigliante cammino dell’uomo», anche quando il suo cervello ha deciso di cambiare o non è più quello di una volta. Maria Matera che, per fortuna sua, conosce bene le regole (non so quali, io seguo ancora quelle di Angelo Stella e di Luca Serianni), a questo punto dovrebbe indicare nuovi e convincenti principi, ovviamente non a noi, ma ai futuri liceali del Classico, per modificare “persino la punteggiatura”. Non è semplice né facile e, probabilmente, inutile. Dire ai nostri giovani liceali «mettete le virgole dove vi pare e piace» non ritengo sia la soluzione corretta. 

Inoltre, pensare che il Liceo Classico debba esser fucina di novità, è «una novità» (non so cosa voglia dire) che potrà convincere alcuni, forse pochi, ma non molti altri anche della nuova generazione. 

Lascio a Maria di rivoluzionare la scuola, termine lato e omnicomprensivo, ma in questi giorni stiamo discutendo solo di Liceo Classico, ove non c’è solo Latino e Greco, ma dove dovrebbe persistere e insistere l’Umanesimo, anche se digitale. 

Chi scrive non si sente imprigionato e incatenato ad un passato che non esiste più, ma spera comunque che la nuova generazione di docenti del Liceo Classico sia in grado di fare, se possibile, meglio (!?!?).

Quanta saggezza e niente stravaganza, nelle parole di Laura Hoesch quando, a proposito della ‘punteggiatura’, afferma che oggi (virgola) è fondamentale nella comunicazione di ogni tempo (punto). 

Grazie a Marco Moiraghi per averci ricordato che quest’anno il Carducci festeggia il centesimo anniversario. Pensiamoci. 

Scusate gli errori di punteggiatura. 

Un caro saluto a tutti 

Renzo Dionigi

 

Cari Carducciani e caro Renzo, 

i dibattiti, chiamiamoli così, hanno senso se non si parte da certezze, la cui scalfittura è assolutamente impensabile. 

Detto questo, credo che sia stata fraintesa gran parte di ciò che ho scritto.

Sarà colpa della punteggiatura. 

Maria Matera

 

Maturità '82, sezione A. Sarà che sono da sempre destinata alla demenza senile precoce, ma non riesco in alcun modo a ritrovarmi nelle sperticate lodi che ho letto nei coltissimi interventi che hanno preceduto il mio. Pochissimi i professori a cui credo di dovere la mia seppur infinitesima capacità di discernimento e d'interpretazione di una realtà che, a dirla tutta, mi pare sfuggita tra le dita di tutti noi. Riconosco nella proposta culturale del Liceo di allora una buona base per tentare di capire un qualsiasi testo, per immagazzinare alcune nozioni e magari rielaborarle - sebbene non sempre con capacità critica -, magari anche per esprimere un concetto con una proprietà di linguaggio ( e punteggiatura) adeguati al contesto...Ma davvero credo che il Carducci di allora mi abbia formato molto di più come essere umano in quanto chi lo frequentava lo contestava, lo criticava, lo viveva oltre le sterili ore di lezione ed oltre le nozioni di cui troppi professori riempivano le ore "frontali". 

Chiediamoci perché nessun "millennial" interviene in questa nostra serie di autocelebrazioni di nostalgici anzianotti che grazie a posizioni sociali spesso privilegiate hanno finito per dimenticare la complessità di un mondo al quale i nostri figli e nipoti si affacciano con indifferenza, fatica, frustrazione. Forse la risposta non è nelle tecniche di insegnamento, nei voti, negli approfondimenti più o meno asserviti ai mercati finanziari. Forse, come giustamente qualcuno ha scritto, quell'attualizzazione dei contenuti che pretendevamo ( inutilmente, vogliamo ammetterlo?) da liceali si ottiene con professori motivati, ben retribuiti, formati con continuità e conseguentemente con studenti che trovano nella scuola la gioia di imparare a crescere. Scuserete la banalità. 

Nota a latere: non sono insegnante.

Saluti a tutti

Stefania Baldi

 

Decisamente …

Questo argomento prende !!!

Che bello… ! Parlare tra di noi, generazioni diverse …!

“Ma sopra tutte le invenzioni stupende, qual eminenza di mente fu quella di colui che s’ immaginò di trovar modo di comunicare i suoi più reconditi pensieri a qualsivoglia altra persona, benché distante per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo? Parlare con quelli che son nell’Indie, parlare a quelli che non sono ancora nati né saranno se non di qua a mille e diecimila anni? e con qual facilità? con i vari accozzamenti di venti caratteruzzi sopra una carta. Sia questo il sigillo di tutte le ammirande invenzioni umane, e la chiusa de’ nostri ragionamenti di questo giorno.”

Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, 1632

Andrea Toso

 

Gentilissime e gentilissimi, 
mi inserisco nella bellissima discussione attivata dalle novità che il preside del Carducci vorrebbe inserire in un progetto più ampio per raccontarvi, off topic, del mio periodo al Carducci. 
Durato, purtroppo, solo l’anno della IV ginnasio (Magrini professoressa di lettere, anno 1965, credo), anche se poi sono stato “vendicato” da due figli e da un nipote, tutti tre carducciani e tutti tre diplomati. 
Io, invece, come scritto, il Carducci l’ho frequentato solo un anno perché sono stato bocciato in IV ginnasio. 
Ma qui sta il problema, che non ho mai approfondito perché, poi, ho fatto altre scuole e questo anno perso ha inciso relativamente poco, credo, nella mia vita anche se, come molti altri accadimenti, qualche cambio l’ha indubbiamente portato. 
Ma dove è il problema, direbbe qualcuno arrivato fino a questo punto? 
Il problema è questo. 
Io sono stato bocciato dopo gli esami di riparazione in quanto rimandato in inglese e matematica. 
Francamente non ho mai capito il perché.
Qualcuno diceva che il motivo fosse che ero figlio di operai ma non credo, ovviamente, di essere stato l’unico di questa condizione.
Qualcuno ha qualche altra ipotesi?
Perchè, oggettivamente, essere bocciati in un liceo classico dopo essere stati rimandati in inglese e matematica (materie, peraltro, non ostiche nella mia vita….), non mi sembra una cosa tanto comprensibile.
Mi scuso ancora per l’off topic, grazie a chi mi suggerirà qualche risposta e sempre W il Carducci!
Un caro saluto a tutti i carducciani.

Graziano Camanzi

 

Caro Graziano, 

io - nel trascorrere della vita - ho cominciato a pensare che le cose ‘non accadono per caso’; e, quindi, venendo a te, se sei stato bocciato in due materie assurde per il liceo classico, la vicenda può voler dire: non, come tu dici, che “ha inciso relativamente poco” ma che, al contrario, è stata la tua fortuna (anche se ai tempi provocata da un evento assurdo).

Un fenomeno ‘incompreso’ (o compreso male) a volte ha un significato positivo e profondo; e, se è difficile da capire, la sua comprensione va affidata alla fantasia (individuale ma, a volte, anche collettiva!). Magari quella bocciatura …… per fortuna che c’è stata! Magari proprio lei ti ha fatto avere, nella vita, una bella cosa che non avresti potuto avere se fossi restato al Carducci! Nelle nostre chiacchierate c’è anche spazio perché il Carducci venga giustamente ‘non esaltato’!!. Pensaci. So che è un discorso qualunquistico ma va ugualmente fatto, anche per scartarlo. Le neuroscienze oggi ti fanno collocare nel cervello cose che non avresti mai immaginato che avessero un senso o il cui senso è incomprensibile. Invece, una volta collocate nel posto giusto del cervello, sembra che acquistino il loro preciso e comprensibile significato; e tu apri la mente all’impossibile, che è pur sempre una strada esistenziale. Questo è quello che, sempre qualunquisticamente, ho capito io. 

Un abbraccio. 

Laura Hoesch

 

A tutti i dissenzienti. Realta’ diverse tutte importanti. Bravo Romano (Malena quando eri in porta, questo lo capisci solo tu). Corretti i rimproveri alle visioni encomiastiche, che non vedono il bicchiere mezzo vuoto, e la sofferenza inflitta da professori incapaci o frustrati, accanto ai Camera e ai Guglielmino. Un meccanismo di difesa classico (tanto per cambiare) è sempre quello dei laudatores tempori acti, si sa. Eppure qualcosa resta di un magnifico tentativo , da ripensare per il futuro: uomini e donne migliori, un nuovo umanesimo mondiale e … anche questo nostro dialogo.

Augusto Caraceni

 

Carissimi Carducciani,

mi permetto di osservare che il mio modesto modo di ragionare e di vivere, nato a casa, a scuola, all’oratorio, in famiglia, incentrato fondamentalmente sulle relazioni umane che, al di là della mia storia professionale, mi ha portato tante soddisfazioni, realizzazioni ed esperienze che tutt’ora continuano, dal valore formativo che percepisco assoluto e profondo, mi porta anche a diffidare del plebiscito di consensi concentrato in questa interessante chat, in assenza della benchè minima voce contraria.

E così diffido di quegli ex compagni, riferendomi ad alcuni che hanno scritto su questa chat, oggi nostalgici e obnubilati a tal punto dall’aver dimenticato totalmente quanto consideravano quei professori oggi rimpianti, forse per la passata gioventù, così come dimenticano quanto fossero insoddisfatti dell’offerta formativa oggetto di contestazioni di ogni tipo.

Certo ci furono delle eccezioni, dei grandi come Camera, Guglielmino, Fabietti, Minari …, ma in mezzo a una serie di cariatidi che parevano uscite dal secolo prima, per nulla disposte a mettere in discussione il proprio metodo o anche solo a confrontarsi con gli studenti, disinteressati a stimolare chi fosse in difficoltà, incapaci di insegnare un metodo di studio.

Ho assistito a una serie di umiliazioni da parte di professori in danno di compagni che non avevano le doti caratteriali per fronteggiarle, manifestando spudoratamente antipatie e preferenze, disinteressandosi a chi non riusciva a stare al passo dei più bravi. 

A scanso di equivoci, non è questa la mia storia personale, uscito indenne dagli anni del liceo, periodo entusiasmante di successi e costruzione. 

E purtroppo quella che è una mia semplice considerazione personale, viene corroborata oltre che dai vividi ricordi del tempo, sia da una prima statistica basata sulle centinaia di ex carducciani coi quali sono restato in contatto in questi ultimi 45 anni, sia da una seconda, raccolta grazie ai miei figli, più ristretta, in altro prestigioso liceo classico milanese.

Certo il liceo classico, non solo per il corpo docente e per la varietà del campo di studio, offre la maggior quantità di spunti per una mente curiosa e disponibile, in un ambiente sociale, culturale e spesso, ancor prima, familiare privilegiato, più che un sistema, una filosofia formativa che pur illuminata, non risulta essere mai stata veramente aggiornata in tanti anni e che paga la scarsa considerazione che hanno l’istruzione e la formazione in questo paese, con penalizzazione anche della scelta dell’insegnamento come professione.

Allora W il Carducci, W qualche professore, W il liceo classico che tante menti e carriere autorevoli ha prodotto, a cominciare da questa chat, ma davvero credete che ciò sia valso per tutti?

Mi piacerebbe sentire altre opinioni, a mio parere numerosissime, ma dubito che leggano la nostra chat.

Un abbraccio sincero a Tutti Voi che mi piacerebbe conoscere di persona.

Marzio Romano

 

Bravo Marzio...approvo e semplifico. Belle e brutte persone presenti allora come oggi. La fortuna, come oggi ,è incontrare quelle belle e imparare a difendersi da quelle brutte. Fine anni 70 ho buoni ricordi di due professori e di tanti compagni di scuola....ma mai quanti quelli indifferenti o decisamente ostici. E mi ritengo fortunato. Per l'esperienza dei miei figli , con le dovute normali differenze, la quota è rimasta la stessa...buon 2023 a tutti

Riccardo Mari 

 

Carissimi,

Prendo lo spunto dalla mail di Marzio per aggiungere i miei due centesimi di riflessione.

Certo, il Carducci poteva non essere quest'oasi fresca e profumata che è rimasta nella memoria di molti compagni di scuola: quando il Boniti ti dava un "2" e ti chiamava "rapina a mano armata" (rapina in quanto piccola rapa) non era poca umiliazione.

Ma in sostanza la formazione avuta dal nostro Classico era paragonabile, se non migliore di quella che fornivano le scuole in Germania o in Francia.

In questi paesi, come in Italia, la scuola insegna seguendo lo sviluppo storico delle varie discipline, ed è bene che sia così: non si può insegnare Kirkegaard prima di Socrate, non si può insegnare la meccanica quantistica prima della meccanica razionale, non si può insegnare il novecento prima del settecento. 

I critici della scuola, quand'ero studente io, negli anni sessanta, lamentavano che la storia veniva insegnata come una cronologia di successioni di monarchi, e col tempo si è capito per esempio che, per la comprensione del mondo in cui viviamo, è più importante sapere che la macchina a vapore si è sviluppata nel settecento ed ha permesso la rivoluzione industriale, che non il sapere che Filippo d'Orléans era il reggente di Luigi XV.

Il problema non è quello del metodo, il problema è quello dei contenuti e di come renderli interessanti, e di cosa insegnare in soli cinque anni. Se lo si vuole, l'insegnamento della storia permette senz'altro di insegnare agli studenti come si sono sviluppate le tecnologie finanziarie, cosa che risale alle crociate! E se le crociate sembrano lontane, un'analisi critica della poesia del prode Anselmo (quello che andò in guerra e mise l'elmo) permetterebbe di far capire in un'ora la situazione socio-tecnologica tanto dell'epoca delle crociate quanto quella dell'epoca del poeta che la scrisse.

Un caro saluto

Paolo Giacomoni

 

Carissime e carissimi

Mi inserisco in questo scambio, raccogliendo lo spunto di Marzio, indimenticabile portiere con gli stivali. Secondo Aristotele gli oggetti cadono a velocità proporzionale alla loro massa. Ci sono voluti quasi due millenni per abbandonare quella fallace teoria. Perché? Abbozzo una risposta: la teoria era suggestiva e l’aveva pronunciata un gigante del pensiero quindi praticamente nessuno si prendeva la briga di verificare sperimentalmente la bontà della teoria. Galileo, con l’esperimento della caduta dei gravi, confuta la fisica aristotelica. Da quel momento inizia la vera separazione tra filosofi e scienziati. Dico questo perché, al di là delle dichiarazioni d’amore per il Carducci e quindi per il Classico (io stesso adoravo Fabietti, Vedovello, Minari e gli altri) credo qualsiasi valutazione sia da farsi con un approccio scientifico. Sono un po’ scettico, sulla base di dati oggettivi, il Classico (per come lo conosco io) possa attrezzare per la complessità del Mondo. Cosa occorre a un ragazzo degli anni 20 del 2000? Come e in che misura il percorso di studi lo forma per quanto richiesto dalla società globale? I risultati di questa indagine permetterebbero di capire se e in che misura occorra apportare modiche all’offerta formativa. E non solo del Liceo Classico.

Ho amato e amo quegli anni, quando passo da Viale Brianza, se non di fretta, passo davanti al Cardux, come lo chiamavo affettuosamente. Però se penso a quel mondo mi rendo conto sia passato, è un paradigma completamente diverso, molto più delle differenze tra un. Auto della seconda metà degli anni ’70 e una attuale. Molto più dei telefoni grigi a rotore e le piastrelle oggi nelle nostre tasche. Quindi mi dico che sarebbe egoismo puro costringere un ragazzo di oggi a studiare il programma dei miei tempi, senza avere prima verificato, dati alla mano, la validità di questa scelta. Senza pregiudizio politic ideologici, ma come Galileo, spinti da quella curiosità e capacità di ragionare che il Carducci dovrebbe averci trasmesso.

https://www.youtube.com/embed/l7tEA8Vtc0o/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT

Roberto Savastano

 

Cari Carducciani,

Forse, sintetizzando, nel mio precedente intervento sono stato troppo brutale: ho scritto che il Carducci insegnava “ad essere intelligenti”, un risultato che veniva raggiunto, per una buona percentuale dei suoi studenti. 

Il risultato era la conseguenza di 5 anni di Italiano, Latino, Greco, Storia, Filosofia, Scienze Naturali, Matematica trasferiti da un corpo docente che era stato in qualche modo (negli anni 50/60) selezionato, in modo non casuale, da note vicende storiche. Una condizione difficilmente ripetibile, che fa di noi dei privilegiati.

Non sono in grado di descrivere, analizzare, criticare quali ricerche di metodo, di teorie dell’insegnamento, di propedeutica ci fossero dietro i programmi ministeriali rimasti in vigore dopo la fondazione del Liceo Classico e dopo la riforma Gentile, ma, secondo quei programmi, interpretati e svolti dai professori del Liceo Classico Statale Giosuè Carducci di Milano, che hanno insegnato negli anni 50/60/70/80, il risultato di insegnare “ad essere intelligenti”, per una buona percentuale dei suoi studenti, era raggiunto.

E questa mia affermazione si basa sui contributi dei “carducciani” che sono intervenuti in questo apprezzabile, eccezionale dibattito.

Oggi si sostiene la necessità di aggiornare, riformare, ridisegnare programmi e metodi del Liceo Statale Classico Italiano per riscontrare il cambiamento culturale, sociale, scientifico, politico avvenuto negli ultimi 60-70 anni.

Il problema è scoprire, ed esprimere, la connessione tra la “metodologia e programmi di insegnamento” e i suoi “risultati”.

Certo nulla oggi è più come era 70/80 anni fa: cultura, costumi, valori, politica, economia, energia, ambiente, informazione, informatica, tecnologie…tutto è profondamente diverso.

Io mi chiedo però se “essere intelligenti” è cambiato dal 1950 al 2023. 

Mi chiedo quali siano le connessioni tra “metodi e programmi didattici” e “risultati dell’insegnamento”.

Non saprei elencarle né descriverle, ma sono sicuro della loro esistenza. Nulla è accidentale.

Ci sono certamente esperti su questi argomenti e sulle loro implicazioni, in Italia e nel mondo. Banche dati, esperienze sistematiche, filosofie…

Di un’altra cosa sono sicuro: questi esperti non sono gli attuali studenti del Liceo Classico, come non lo eravamo noi nel 1950/60/70…

Né mi sentirei di escludere che fra quelle “connessioni” ci siano, ancora oggi, il Latino, il Greco, la Storia, la Filosofia e la critica conoscenza dell’Italiano, dell’Inglese e della punteggiatura.

Cordiali, affettuosi saluti.

Hugs,

Lorenzo Matteoli

 

Care e cari, 

aggiungo qualche breve considerazione a un dibattito senza dubbio interessante e fertile, per il quale ringrazio. Dico da subito che ho frequentato il Liceo Carducci tra il 1968 e il 1973: un periodo tanto affascinante quanto complicato e controverso. 

Nei commenti che ho letto mi è sembrato di vedere incrociarsi almeno tre piani, che forse vale la pena di distinguere: in primo luogo il piano del ricordo autobiografico, vibrante di tenerezza, nostalgia, energia. E, per carità, su tutto ciò non si discute.

In secondo luogo, il piano della valorizzazione dei personali sviluppi di carriera post liceali: molte tra le narrazioni comparse qui, in modo quasi automatico, assegnano al nostro liceo il ruolo di fondamento e origine unica dei successi seguenti. Ma in questo caso potremmo essere di fronte a una fallacia logica che, poiché siamo tutti latinisti, riassumo nella locuzione “Post hoc ergo propter hoc”.

In terzo luogo, l’estensione di un’aura di pregio e valore indiscutibili e permanenti dal Carducci all’intera formazione classica così com’era. La quale formazione classica andrebbe dunque riproposta, a distanza di decenni e con identiche modalità, agli studenti di oggi e di domani. 

Devo ammettere di avere una posizione più sfumata.

Ad alcuni insegnanti straordinari per competenza, per generosità e per umanità, tra i quali, nel mio olimpo personale, brilla e brillerà per sempre Augusto Camera, se ne sono nlla mia esperienzai accostati altri assai più dimenticabili. Nelle aule della sezione G del Carducci ho passato molte ore interessanti e magnifiche e altrettante (forse più) ore di noia totale e irrimediabile.

E no, non credo che la lezione frontale sia l’unico e il miglior modo per trasmettere conoscenza. È, invece, il più difficile. E per sostenere un’ora di lezione frontale senza perdersi metà dell’aula bisogna essere non solo esperti della propria materia, ma anche, proprio come Augusto Camera, bravi a comunicarla e a suscitare curiosità, interesse, passione. Non tutti ci riescono.

…e che dire di quelle ore interrogazioni che non finivano mai?

Farsi qualche domanda a proposito della lezione frontale come forma unica e privilegiata del sapere (e su voti e interrogazioni) e farlo senza pregiudizi, magari andandosi a vedere, per esempio, alcuni dei moltissimi studi disponibili sul tema, potrebbe essere utile. 

E ancora. Sì, il Carducci mi ha insegnato molto. Ma non posso giurare che non avrei imparato altrettanto in un altrove ugualmente (o, magari, diversamente) qualificato. E ci sono molte cose fondamentali (fra queste: un metodo di studio efficace) che mi è successo di imparare dopo, e anche molto dopo.

Aggiungo, infine, che, se parliamo di didattica, il “come” si insegna è almeno altrettanto importante del “che cosa” si insegna. E che tutte le emozioni che alimentano la curiosità e il desiderio di apprendere, la comprensione, il ricordo, passano dal “come”. 

In altre parole: se a spiegare gli esiti della battaglia di Adrianopoli è il professor Barbero (il il professor Camera) oppure è il professor Tromboni, il soggetto è il medesimo ma il risultato è diverso.

Credo, quindi, che il tema sia non tanto o non solo se insegnare latino e greco (e secondo me val la pena di continuare a farlo) o se sostituirli con finanza e informatica, quanto il modo in cui il che cosa si integra con il come che lo esprime. È un come che deve tener conto anche dei ritmi e degli strumenti della nostra contemporaneità.

È il progetto coerente di cui parla Andrea Cuomo. Il cui fine ultimo, non dimentichiamolo, è offrire alle ragazze e ai ragazzi di oggi, e di domani, gli strumenti cognitivi indispensabili per crescere come cittadini consapevoli, informati e capaci di vivere il loro tempo.

Grazie per avermi letta fin qui e un abbraccio collettivo, 

Annamaria Testa

 

Cari Carducciani e carissime Carducciane!

questo dibattito intriga e Marzio si irrita perché mancano voci alternative alla generale nostalgia generazionale. Annamaria Testa introduce qualche appunto non conforme ed evoca, credo per prima, il “come si insegna” come elemento rilevante, oltre alla conoscenza delle materie insegnate, per una didattica efficace. Mi piace, a questo proposito, ricordare le parole di un anonimo funzionario piemontese del Regno d’Italia, in una delle iniziali riforme della scuola italiana (1885?), dove scrive che la scuola deve “insegnare a fare, più che a dir come si faccia”. Un bel concettino, embrione di “metodo”.

Tornando al “come” di Annamaria Testa credo che sia relativamente corretto affermare che nessun professore delle scuole superiori e dell’università italiana, me compreso che all’università ho insegnato per trent’anni, ha mai frequentato un corso nel quale gli venivano forniti i rudimenti del “come si insegna”. Ci si laurea in lettere e filosofia e si insegnano lettere e filosofia, ci si laurea in matematica e si insegna matematica, ci si laurea in storia e si insegna storia… Forse solo chi ha frequentato corsi di pedagogia ha frequentato lezioni che trattavano di “strumentazione metodologica per la didattica”. La conoscenza della materia insegnata, certificata da una laurea, è, credo ancora oggi, l’unica competenza di un professore. Solo quella è necessaria per insegnare quello che sa. Metodo, strumenti, logistica, forme della comunicazione…nisba.
Non deve sorprendere che la “lezione frontale” svolta da molti professori sia spesso noiosa: non è facile svolgere un’ora di lezione mantenendo tensione e interesse della classe. 
Non tutti sono Vittorio Gassmann e le verifiche dei concorsi a cattedra e delle libere docenze, evidentemente, non sono mai state adeguate[1].

Sicuramente negli scritti di Giovanni Gentile filosofo[2] (Ministro della Pubblica Istruzione del Governo Mussolini dal 1922 al 1924 responsabile della riforma generale della scuola italiana del 1923) ci sono le basi teoriche del “conoscere”[3], ma queste basi non sono diventate pratica caratteristica consolidata del corpo nazionale dei docenti italiani, sia nelle scuole superiori che nell’università. 

È quindi probabile che nel predisporre i programmi e le materie per il Liceo Classico il Ministro Gentile abbia ritenuto che gli insegnamenti (Italiano, Latino, Greco, Storia e Filosofia…) costituissero anche “metodo”. La logica del Latino, l’intuizione comprensiva indispensabile per tradurre dal Greco, l’impostazione sistematica della filosofia di Emanuele Kant e Georg Friedrich Hegel “contenevano” (contengono) metodo e struttura di indagine e di pensiero. Non credo proprio che il filosofo idealista Gentile concepisse la storia come una cronologia di date e di eventi: troppo vicino a Hegel per non sentire la continuità complessa della storia. Ogni situazione è continuazione del passato e premessa complessa del futuro e non può essere isolata da questa continuità[4]. Addirittura la previsione del futuro modifica il presente.

Il sistema scolastico è il prodotto, lo specchio, delle istituzioni politiche che reggono il paese, e non può essere diversamente. La cosa strana del Liceo Classico Statale Italiano, in particolare registrata nel Giosuè Carducci di Milano, è la continuità di un curriculum concepito durante il fascismo che ha funzionato per quasi un secolo nella Repubblica, tutto sommato socialdemocratica, italiana. Forse Giovanni Gentile aveva visto più lontano della specifica congiuntura.

Se si deve riformare si affronti il problema delle connessioni tra metodologia della didattica e suoi risultati, insieme al problema dei contenuti.

La riforma è un problema che richiede solida competenza, esperienza, dati e la capacità di trasferire il tutto nei programmi e nella logistica della attuale trasmissione del sapere.

Per chiudere: sull’insegnare “ad essere intelligenti”, un conto è “avere cervello”, altra cosa è “essere intelligenti”. Da non confondere, ci sarebbero volumi da scrivere.

Le assemblee degli studenti…discutano, dibattano, facciano il mestiere delle assemblee, ma per favore… ne sutor ultra crepidam. Questo con tutto il rispetto per le assemblee. 

Cordiali saluti e molto affetto.

Lorenzo Matteoli

[1] Dove si chiedeva ai candidati di svolgere una lezione di fronte alla Commissione su un tema da loro scelto.

[2] Giovanni Gentile pagò caro il suo impegno ideologico con il PNF e la successiva, conseguente, adesione alla Repubblica Sociale. Il 15 Aprile 1944 venne ucciso da Bruno Fanciullacci del Gruppo di Azione Patriottica (GAP) di Firenze come rappresaglia per la fucilazione di 5 giovani partigiani il 22 Marzo 1944.

[3] La riforma dell’educazioneSistema di logica come teoria del conoscere, I e II, editore Le Lettere.

[4] Lo insegnava con chiarezza la sorella Pandini professoressa di Storia e Filosofia nella Sezione C degli anni 50.

 

Care e cari, innnanzitutto mi colloco temporalmente e professionalmente: maturità 1983, corso A; da più di trent’anni docente di Lettere, Latino e Greco nel liceo classico (uso la dicitura burocratica), ho insegnato al Carducci dal 2014 al 2019, per poi riparare felicemente al Berchet.

Dopo avere letto i vostri interventi, pieni di sentimento, passione e intelligenza, cosa di cui vi sono grata, ho deciso di sorvolare sulla mia esperienza personale, poco interessante, e di proporvi piuttosto una chiave di lettura di queste “innovazioni” carducciane, che poi ormai tanto innovative non sono, e neppure peculiari del Carducci, ma diffuse nella scuola italiana tout court.

Credo così di interpretare correttamente anche lo spirito con cui il compagno di scuola e di università prima, e poi collega al Carducci e ora al Berchet, ha meritevolmente avviato questa ricca e generosa discussione.

Per brevità, e a scopo puramente suggestivo, considererò solo tre delle innovazioni “pubblicizzate” (siamo nel periodo di procacciamento di studenti-clienti, come qualcuno ha fatto notare) nell’articolo/spot corsaro.

1. Quinto anno interamente dedicato al Novecento e all’orientamento in uscita: sfido chiunque a non essere d’accordo sulla necessità di studiare il secolo breve/lunghissimo ormai finito da 23 anni, magari per rottamarlo definitivamente, come molti propugnano (Baricco in testa). Il problema non è solo, anzi, NON È la conseguente necessità (nel senso di ἀνάγκη) di ridefinire il κανών delle discipline. L’ultimo anno dedicato al Novecento era già previsto nella riforma del “2+2+1” di Berlinguer (Luigi), il primo ministro di centro-sinistra dell’allora Pubblica Istruzione, quello che sdoganò i finanziamenti alle scuole private, portando alla cancellazione, tutt’altro che solo simbolica, dell’aggettivo “pubblica”. La formula del 2 +2 +1 era prodromica alla “sperimentazione” del liceo (e della scuola secondaria di 2° tout court) in 4 anni, che l’anno scorso ha prodotto i primi diplomati e che l’attuale ministro, nonostante il fumus conservator-reazionario, ha addirittura incrementato, estendendola a 1000 scuole. Quanto all’orientamento in uscita, ricordo che in tutte le scuole secondarie di 2°, il 2° biennio e l’ultimo anno (id est il “vecchio” triennio) sono già dedicati interamente all’orientamento in uscita: la già “alternanza scuola-lavoro” (ASL), poi pudicamente rinominata “Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento” (PCTO), nei licei prevede 90 ore da svolgersi in orario curricolare, cioè sottraendo ore alle discipline, già dissanguate da innumerevoli “progetti” e iniziative di ogni tipo; i legislatori (in primis il governo Renzi, centro-sinistra, legge 107/2015, dagli amici soprannominata “La buona scuola”) avevano inizialmente stabilito per i licei 200 ore di ASL, che poi furono ridotte (da Bussetti, se non sbaglio) a 90, calcolando una media di 30 ore all’anno.

2. L’abolizione del ½ voto: com’è stato sottolineato da qualcuno, il mezzo voto non è mai esistito nella valutazione finale, che è sempre stata, ed è tuttora, espressa in voti interi, tranne che alla maturità, il cui voto è formulato addirittura in centesimi. Tale abolizione s’intende per ora applicata nelle valutazioni delle verifiche intermedie, scritte e orali, e mira (in modo ancora non dichiarato, ma la direzione è questa) alla standardizzazione della valutazione, e alla conseguente sostituzione dei voti numerici con “fasce di livello” (A, B, C, D...), evocate infatti en passantnell’“intervista” (le parole sono importanti, diceva qualcuno). Peraltro, le fasce di livello esistono già nella valutazione delle competenze acquisite dallo studente, che noi docenti dobbiamo “certificare” alla fine del 1° biennio, cioè a conclusione della scuola dell’obbligo. Il livellamento e inquadramento degli studenti in “fasce di livello”, insieme (3.) all’“elaborazione e valutazione da parte di un team di docenti di un compito in classe...” ecc. (pratica che noi docenti facciamo spesso spontaneamente, ma che il dirigente propone sia formalizzata e inclusa nel PTOF, diventando così obbligatoria) prelude all’ormai da più parti auspicato (anche dal ds) superamento della “classe” organizzata anagraficamente, per anno di nascita degli studenti, e anche della classe come luogo fisico di apprendimento, in favore di una riorganizzazione in “fasce di livello” (come nei college americani) e di “nuovi ambienti di apprendimento” (città d’arte, boschi, imprese, fabbriche, anche di armi. Si veda la recente interpellanza parlamentare di SI su un caso romano), in cui è la cosiddetta “comunità educante” ad affiancare i docenti e sempre più a sostituirli sia nella formazione sia nella valutazione (già in parte esternalizzata all’INVALSI).

Se pensate che tutto ciò sia una distopia, frutto della paranoia mia e di molti miei colleghi, vi invito a leggere il saggio dell’ex ministro Patrizio Bianchi, Nello specchio della scuola, e la disamina accuratissima che un ottimo collega di Siena, Daniele Lo Vetere, ha pubblicato in due parti sul blog «La letteratura e noi» col titolo Nello specchio (deformato) della scuola). Qui troverete teorizzata la scuola che ci attende e che è già ben più che in nuce (la strategia è quella della rana bollita); il Carducci, con queste “innovazioni” all’apparenza innocue e anzi auspicabili, fa solo parte di un’avanguardia sempre più nutrita.

La finisco qui, ma solo per non tediarvi oltre, perché bisognerebbe per esempio capire meglio a cosa si miri davvero con l’esasperazione della interdisciplinarità, con l’abolizione dei voti, con l’invocata formazione psico-pedagogica dei docenti…

Mannaggia, volevo essere sintetica e incisiva, così non è stato, e chiedo venia. A mia (parziale) discolpa posso addurre la disperazione al pensiero del deserto culturale e umano che, in nome del realismo, stiamo lasciando ai nostri giovani e a quelli che verranno.

Un saluto pieno d’affetto ai carducciani.

Franca Gusmini

alcuni link, per chi voglia cercare di capire dove sta andando davvero la scuola italiana, tutta...

https://laletteraturaenoi.it/2021/08/23/nello-specchio-deformato-della-scuola-economia-e-governance-sul-libro-del-nuovo-ministro-allistruzione-2/

https://laletteraturaenoi.it/2021/03/04/nello-specchio-deformato-della-scuola-economia-della-conoscenza-autonomia-e-costituzione-sul-libro-del-nuovo-ministro-allistruzione-2/

https://comune-info.net/fenomenologia-delle-prove-comuni/?fbclid=IwAR2RLdxqs4O4OqL4FAeTdyvvZXnylaudNxhzMxftEr5tz0z7EY-1zz6rRp8

https://gisrael.blogspot.com/2011/05/il-bluff-della-matematica-finlandese.html?fbclid=IwAR1zCzuEOdgGQ8-xKBPdSLncFBksXxhQjgR7IeGBVeGN4OaRJgdJKRp4z38#:~:text=Ma%20nella%20scuola%20finlandese%20questa,con%20il%20simbolo%20“V”

 

Cari Carducciani, Carducciane e specialmente cara Franca Gusmini,

Grazie per l’intervento, documentato, autorevole, competente, e per i links che permetteranno a chi è interessato di farsi una cultura sul problema.

Chapeau! Three times chapeau!

Franca Gusmini dovrebbe essere chiamata dal Ministro e incaricata di formare e presiedere una commissione che elabori il piano di riforma del Liceo Classico Statale.

Questo ovviamente non avverrà e anzi vedremo il compito affidato (se mai sarà affidato), secondo le nefaste regole clientelari, al soggetto conforme e appiattito sulla dinamica della rana bollita. E così andremo di male in peggio.

Ma questo non significa che Franca Gusmini non debba procedere comunque a nominarsi una commissione di competenti ed esperti e a produrre un piano di riforma del Liceo Classico Statale. Che resterà a documentare cosa si sarebbe dovuto fare e a rappresentare il disastro che invece sarà fatto.

Ma, non si sa mai, e le cose potrebbero invece svolgersi in modo affatto diverso: della serie è quando la merda arriva alla gola che bisogna essere ottimisti.

Il contributo di Franca Gusmini va comunque ascritto anche alla mailing list che è riuscita a coinvolgerla sulla trama della passione “carducciana”.

Saluti cordiali, affetto e big hug.

Lorenzo Matteoli

 

Credo che la definizione migliore di “intellettuale” l’abbia data Pasolini quando, in quel famoso intervento sul «Corriere della sera» del 14 novembre 1974 (intitolato Cos’è questo golpe? Io so), scrive: «Io so perché sono un intellettuale». L’intellettuale, cioè, è colui che sa fare col-legamenti, che sa stabilire connessioni logiche – da λέγω, “raccolgo” (dopo avere analizzato e scelto) – tra ciò che viene prima e ciò che viene dopo e ciò che è ora. Se si perde la conoscenza di ciò che (av)viene “prima”, non si hanno gli strumenti per vedere le connessioni, i rapporti causa-effetto, capacità, questa, necessaria (nel senso classico, cioè che non può non esserci) per orientarsi in ogni campo, anche nella scienza, nella tecnologia, nella finanza più avanzate. La rappresentazione più drammatica e vera di ciò che comporta la perdita della conoscenza del “passato” (storico, letterario, scientifico ecc.), la dà a mio parere Orwell in 1984, precisamente quando Winston Smith sottrae alla distruzione una fotografia, che lui s’illude rappresenti la prova delle bugie del Big Brother. Ma quella fotografia non rappresenta più niente, per gli altri, perché il passato viene continuamente riformulato sul momento presente, e quindi non sono più in grado di riconoscerne il significato.

Se manca un termine di paragone, ogni analisi sarà difettosa, manchevole, e sarà un continuo ricominciare da capo, come se fosse la prima volta. Il che (cioè che ogni volta sia come fosse la prima volta), se è (forse) auspicabile in una relazione sentimentale, lo è meno in ogni altro campo del sapere, e nella vita in generale, soprattutto nella fase in cui si cerca di capire chi siamo e cosa vogliamo essere e, soprattutto, montalianamente, cosa NON vogliamo essere.

Io vedo adolescenti sempre più disorientati, sofferenti e inermi di fronte all’hic et nunc in cui noi adulti, che pure abbiamo goduto, consapevoli o meno, di un’istruzione privilegiata (carducciana e non), li vogliamo sprofondare, spesso in buona fede ma spesso anche no.

Franca Gusmini

 

Carissimi,

io sono maturità 82 sezione B: se esistono in questo dibattito una maggioranza di voci positive e apparentemente nostalgiche del metodo di insegnamento che ci ha formato al liceo classico, evidentemente ci sarà un motivo, e altrettanto francamente non mi interessa se può essere irritante. 

Sgombro il campo dalle nebbie pseudoromantiche della mia adolescenza e vediamo quale è il punto: il metodo con cui ho approcciato lo studio e la comprensione della realtà e della storia, FUNZIONA. In questo modo mi è stata data la possibilità di allargare il pensiero, comprendere uomini e mondi, e applicarlo agli studi successivi qualsiasi essi fossero, e al mio approccio con il lavoro. Capisco che educare la gente a pensare sia pericoloso e controproducente.

Concordo che un maggiore approfondimento al Novecento sia importante, che valga la pena proporre un avvicinamento a temi riguardanti informatica e web che permeano la nostra società (e riproporre in maniera decente l’educazione civica, che ormai è un universo inesplorato), ma sono decisamente contraria a falsi miglioramenti che per quello che mi riguarda sono in realtà solo peggioramenti.

Ora, se tutte le volte che è cambiato un governo il ministro di turno si è sentito in dovere di farsi ricordare e ha voluto piantare la sua bandierina sul programma scolastico sempre più devastato e distopicamente deformato, questo non significa che per far vedere che si è avanti debba passare tutto, soprattutto quando si erodono ore preziose per la formazione tipica di un liceo, ricordo, e non di un istituto tecnico o professionale. 

Se allo studente non piace, può andare a seguirsi un altro programma di studi.

Per quello che mi riguarda di molte “innovazioni” , come citato, proprio nel periodo di procacciamento di studenti-clienti, si può tranquillamente fare a meno.

Silvia Pavoni

 

Cari tutti,

sono rimasta sinora zitta, ma la mail di Annamaria Testa ( che cordialmente saluto ), mi spinge a dir la mia esperienza personale. Diploma ( sez B) 1967.

Io sono contenta di aver fatto il classico : ci sentivamo privilegiati già allora ( anche se il Carducci era una scuola di semiperiferia rispetto ad altri più blasonati licei milanesi ) , e ci sentiamo vieppiù parte di una élite noi che ora siamo “ vecchietti”.

Ma…partiamo dall’ inizio, dal ginnasio.

Lezioni frontali, è vero. Ma cosa avevamo conosciuto prima, alle elementari, alle medie? Solo lezioni frontali…

Io ho avuto la straordinaria fortuna di avere, come insegnante di lettere del biennio , la straordinaria  Maria Attardo Magrini : che alle lezioni frontali non si limitava e, anzi, sollecitava in aula il dibattito . Anche “ politico”. 

Ferrata com’ era in letteratura internazionale, a lei mi rivolgevo per imparare a leggere gli autori stranieri e lei, prodiga di consigli, mi suggeriva e suggeriva…poi, commentavamo. Furono , quei due anni, due anni di letture forsennate ( gli americani moderni , i classici francesi , tedeschi, russi , che nel Programma non c’ erano di certo …). Sono sempre rimasta in contatto con lei , e lo sono ancora : la “ mia” Professoressa ha compiuto a novembre 106 anni, un fenomeno !

(Nota : Le reiterazioni sono volute, sia chiaro).

Inglese : solo due ore alla settimana, e quello non era inglese : era un po’ di nuovo vocabolario ma soprattutto storia della letteratura . Nulla sulla pronuncia, o sulla conversazione , ovvero sulla lingua propriamente intesa, quella che mi insegnava mio padre, che l’ inglese lo parlava - per il suo lavoro - normalmente . 

Stendo un velo pietoso su latino e greco nel triennio. Un disastro. Anni buttati via tra inutili traduzioni e infinite interrogazioni senza nulla imparare della storia della letteratura latina e greca ( per fortuna, quando andavo a teatro c’ era a supporto la poderosa enciclopedia di famiglia ). 

Matematica, fisica, scienze ? Per carità, zero via zero. Noi che oggi dobbiamo essere tutti green, ci siamo diplomati senza saper distinguere la foglia di un platano da quella di un ippocastano…

Storia dell’ arte ? Mio Dio, studiavamo su un libro con le illustrazioni in bianco e nero !!!

Storia della musica ? Ma quando mai ? 

Un po’ di economia, e magari di diritto? Ma quando mai ? ( di informatica allora ovviamente non si poteva certo parlare …l’informatica non era stata ancora “ inventata”).

A QUESTO PUNTO SI DIRÀ : MA PERCHÉ SEI CONTENTA DI AVER FATTO IL CLASSICO?

Semplice, perché io ho avuto la straordinaria fortuna di avere nel triennio  Salvatore Guglielmino ( per italiano) , e Renato Fabietti ( per storia e filosofia) .

Al di là del fatto che i due , tra loro amicissimi, cercavano di dare concordanza a un programma che concorde non era affatto, alle lezioni frontali non si limitavano certo…Chi li ebbe in classe concorderà con me, spero.

Ancora oggi benedico questa mia straordinaria fortuna, e a essi va la mia everlasting memory.

Mi insegnarono tutto ciò che poi mi permise di laurearmi agevolmente in Filosofia ( alla Statale) . 

Rimasi in contato con loro anche oltre il diploma. Con Fabietti, addirittura …beh, andavo a casa sua quando dovevo dare un esame all’ Università , e lui mi interrogava…domande difficili… ”Vai, vai pure, sei preparata”. Solo una volta mi disse “ Forse è meglio che aspetti, presentati alla prossima sessione “.

Guglielmino e Fabietti mi hanno insegnato trasversalmente molto di ciò che mi ha permesso anche di iniziare il percorso professionale che poi ho fatto e che ancora svolgo , da giornalista economica ed esperta di comunicazione. E lecturer in ambito accademico etc. ( OK, d’ accordo, poi ho dovuto fare passaggi in Bocconi e in innumerevoli contesti internazionali…). 

Last but not least.

Vorrei sottolineare ( e mi stupisco un peletto che nessuno sinora l’ abbia fatto) l’ importantissimo ruolo che a quel tempo ebbero per noi studentii l’ Associazione studentesca, ASC, e il giornale della scuola : il mitico Mr Giosuè. Cui si collegavano anche molte attività che oggi definiremmo social : lo show musicale di fine anno in Aula Magna, le feste danzanti il sabato pomeriggio, le serate a teatro con sconti speciali, i campionati di sci, etc…

Ed erano già anni difficili, quelli del mio liceo…eravamo alle soglie del 68. Ricordate, vero, il “ caso Zanzara ” al Liceo Parini ? Noi del Carducci fummo, con l’ ASC, in prima linea .

Programmi del “classico” per il futuro? Non lo so. O, meglio, io saprei benissimo cosa fare, ma temo che su ciò mai nessuno mi interpellerà.

So però che quando mi capita di incontrare i nipoti di miei coetanei amici, ragazzi che studiano al liceo, e mi viene spontanea la citazione di Guglielmino+Fabietti, i ragazzi - che sui loro libri di gran successo studiano - restano increduli: “ Lei , lei li ha avuti in classe ? E com’ erano , come persone ?” 

Ecco la sintesi : non programmi, ma persone. Questo, forse, anche i nostri disorientati ragazzi di oggi lo capiscono. 

Paola Grego Lunghini

 

Carissime e carissimi

Per illustrare lo scopo della scuola con un aforisma, ricordo che lo Zambarbieri diceva: Non voglio che voi diventiate dei tubi digerenti.

Il Foscolo esortava gli italiani alle istorie.

Ci sono esempi di paesi in cui, alla high-school, non si insegnano nè il greco né la storia nè la filosofia: parlano di multicultutralismo come se fosse il toccasana, ma hanno dimenticato la loro storia e sono disorientati.

Per chi propone un'educazione puramente STeM (scienze, tecnologie, matematica) non si può non ricordare che Rabelais ammoniva: Science sans conscience n'est que ruine de l'àme.

Un caro saluto

Paolo Giacomoni